IL CONCETTO DI GUERRA GIUSTA NEL SISTEMA 

SOCIO-GIURIDICO EUROPEO ATTUALE E IN QUELLO ROMANO ANTICO 

 

 

1. Cenni preliminari 

2. Il concetto di guerra giusta nel sistema socio-giuridico europeo attuale 

3. Il concetto di guerra giusta nel sistema socio-giuridico romano antico 

4. Bibliografia

 

1. Cenni preliminari 

Il concetto di guerra giusta è di difficile elaborazione, tanto nel sistema socio-giuridico europeo attuale quanto nell'antico ordinamento romano. La guerra è una situazione - decisamente traumatica - di conflitto tra più soggetti che incarnano entità etniche e politiche diverse per storia e tradizioni. Alla luce del suesposto dato, oggettivamente incontestabile, è possibile comprendere quanto difficile e forse doloroso si riveli il tentativo (o, meglio, lo sforzo) di giungere ad elaborare in qualsivoglia contesto una nozione del concetto di giustezza della guerra dotato di un apprezzabile grado di plausibilità e ragionevolezza. Su un sentiero così aspro ed accidentato si sono cimentati autorevoli pensatori di tutti i tempi. Di questo dibattito si proverà a dar conto nel corso del presente articolo.

 

2. Il concetto di guerra giusta nel sistema socio-giuridico europeo attuale 

Nel sistema socio-giuridico europeo attuale, la guerra è ritenuta giusta se integrante una prassi conforme al diritto positivo. In ossequio a tale assunto, il noto filosofo torinese Norberto Bobbio ritenne giusta negli anni Novanta (all'interno dell'opera dal titolo Il problema della guerra e le vie della pace) l'offensiva scatenata a favore dello stato del Kuwait dalle forze dell'asse britannico-statunitense (unitamente a quelle di altre potenze, tra cui l'Italia) contro il raìs iracheno Saddam Hussein, in quanto articolazione ed attuazione di legittima difesa dall'atto di invasione da costui perpetrato ai danni del medesimo stato kuwaitiano. Ma giusta può anche essere la guerra finalizzata alla difesa di valori universali umani, i quali non risiedono pertanto nel diritto positivo ma in quello naturale. Giusta è allora la guerra, ancora in corso, tra i soliti alleati anglo-americani e il solito regime iracheno, iniziata in difetto della necessaria autorizzazione dell'ONU a presidio e salvaguardia dei diritti inviolabili delle popolazioni sottoposte al giogo della dittatura di Saddam Hussein (simile orientamento è stato parimenti espresso da un autorevole esponente del clero, il cardinale Carlo Maria Martini, che in un editoriale dal titolo La guerra moderna e i diritti dell'uomo, redatto per La Repubblica in data del 13 luglio 2000, ha sostenuto la legittimità dell'uso delle armi - quindi la giustezza della guerra - per la repressione di crimini contro l'umanità). In sintesi, giusta è ogni guerra atta a realizzare quella che Norberto Bobbio più volte ha definito pace positiva, consistente nella situazione di dominio della giustizia e sussistenza di benessere sociale diffuso ed omogeneo. Il parametro teleologico di riferimento ai fini dell'individuazione della giustezza di qualsiasi guerra consente di inquadrare quale giusta quella guerra atta a realizzare il diritto.

 

3. Il concetto di guerra giusta nel sistema socio-giuridico romano antico 

Anche nell'ottica dei Romani di un tempo - come ha opportunamente evidenziato il De Martino nella Storia della Costituzione Romana - la guerra rappresenta una rottura traumatica delle naturali relazioni pacifiche tra i popoli. 

Ogni evento bellico è considerato potenzialmente sacrilego perché comportante il rischio di provocare l'ira degli Dei. 

E pervero un simile rischio è decisamente insostenibile per il popolo romano, che - come scritto dal Sini nell'articolo intitolato Guerra giusta e sistema giuridico religioso romano e pubblicato dalla rivista Diritto e Storia nel numero dello scorso mese di marzo - significativamente considera sé stesso il più religioso del genere umano sì da preoccuparsi fin da epoca risalente di attrarre la guerra nella sfera del fas, ossia della religiosità. 

Nell'opera dal titolo Histoire politique et psychologique de la religion romaine, il Bayet parla di ritmo sacrale della guerra romana, riferendosi al valore religioso di cui si carica ciascun atto delle ostilità. 

Già la dichiarazione di guerra è quasi una cerimonia: almeno due sacerdoti appartenenti al collegio dei fetiales si recano ai confini del territorio nemico che si intende aggredire e chiedono la riparazione del torto per la cui perpetrazione stanno iniziando gli atti bellici (tale torto, come si vedrà meglio in seguito, è la causa giustificatrice della guerra). 

Prima di proseguire, sarà utile spendere qualche parola in merito al collegio dei fetiales: è composto di venti membri ed incaricato di dar vita ai riti connessi con i rapporti internazionali; Varrone dice: Varro, De ling. Lat., 5.86: Fetiales…fidei publicae inter populos praeerant: nam per hos fiebat ut iustum conciperetur bellum…ex his mittebantur, ante quam conciperetur, qui res repeterent… Varro, De ling. Lat., 5.86: I Fetiales…sovrintendono ai riti connessi con i rapporti internazionali: infatti attraverso il loro intervento può avere inizio una guerra giusta…proprio essi sono inviati, prima dell'avvio delle ostilità, per chiedere al nemico la riparazione del torto da questo perpetrato ai danni del popolo romano… Tra i fetiales che dichiarano guerra deve esservi il verbenarius e il pater patratus. 

Il verbenarius è il portatore della verbena, speciale erba pura, definita anche sagmen e superstiziosamente considerata quale simbolo e garanzia dell'inviolabilità dei legati, come riferisce Festo: Fest. s. v. sagmen (424): sagmina vocantur verbenae, id est herbae purae, quia ex loco sancto acerbantur a… legatis proficiscientibus ad… bellum indicendum Fest. s. v. sagmen (424): sagmina sono definite le verbenae, erbe pure perché destinate ad essere colte, quando ancora acerbe, in un luogo sacro dai legati in partenza per formulare dichiarazioni di guerra Il pater patratus è invece, di norma, il capo dei fetiales; è proprio costui ad essere investito, dagli organi costituzionali che a seconda delle varie epoche storiche sono titolari delle funzioni di indirizzo politico, dei poteri di indictio belli. 

Trascorso un periodo di tempo predeterminato senza che le pretese avanzate dai fetiales siano state soddisfatte, i medesimi ritornano ai confini dello stato nemico e quivi il pater patratus pronuncia solennemente la formula della dichiarazione di guerra durante il sacrificio di un maiale agli Dei e lancia nel territorio dello stato stesso un'asta intinta nel sangue del suino appena immolato. 

Altre formalità scandiscono altri momenti legati alla guerra. Tra queste, di particolare rilievo mi sembrano la ricorrenza dell'armilustrium e l'usanza per i soldati che si fossero macchiati di uccisioni in battaglia di entrare nell'Urbe durante il corteo trionfale con rami di alloro nelle mani. 

Quanto all'armilustrium, si tratta di una festa celebrata in data del 19 ottobre di ogni anno a fini di generale purificazione dell'esercito; ne parla Paolo: Paulus, Fest. ep. (17 L): Armilustrium festum erat apud Romanos, quo res divinas armati faciebant, ac, dum sacrificarent, tubis canebant Paulus, Fest. ep. (17 L): Si celebra presso i Romani la festa dell'armilustrium, durante la quale i soldati in armi compiono sacrifici e contemporaneamente intonano canti al suono di una tromba Quanto invece all'usanza testé ricordata, afferma sempre Paolo: Paulus, Fest. ep. (104 L): Laureati milites sequebantur currum triumphantis, ut quasi purgati a caede humana intrarent Urbem Paulus, Fest. ep. (17 L): Recando in mano ramoscelli di alloro, onde purificare i propri animi dalle empietà commesse in guerra, i soldati incedono nel corteo trionfale, facendo il proprio ingresso nell'Urbe A una giustezza della guerra di natura formale, tuttavia, se ne accompagna anche una di tipo sostanziale. 

Il bellum è iustum da un punto di vista sostanziale soltanto ove integri la riparazione - peraltro estrema - di un torto subito dal popolo romano (clarigatio o rerum repetitio) oppure sia preordinato alla cacciata del nemico invasore dal territorio dello Stato. 

Ne parla Isidoro di Siviglia: Isidorus, Orig., 18, 1, 2: Iustum bellum est, quod ex edicto geritur de rebus repetitis aut propulsandorum hostium causa Isidorus, Orig., 18, 1, 2: E' giusta la guerra determinata da un invito rivolto al nemico di riparare il torto perpetrato ai danni del popolo romano e rimasto insoddisfatto oppure dall'esigenza di scacciare il nemico invasore dai confini del territorio statale. 

Altrettanto fa Cicerone nel De re publica: Cicero, De re publ., 3.35: Illa iniusta bella sunt quae sunt sine causa suscepta. 

Nam extra ulciscendi aut propulsandorum hostium causa bellum geri iustum nullum potest Cicero, De re publ., 3.35: Sono ingiuste tutte le guerre scatenate in difetto di motivo legittimo. 

Nessuna guerra è infatti giusta se non provocata dall'esigenza di vendetta contro il nemico per un torto perpetrato o da quella di cacciata dello stesso invasore dai confini del territorio statale. 

Si può concludere allora che nel sistema socio-giuridico romano guerra giusta è quella scaturita da un motivo logicamente plausibile (e, ciononostante, tassativamente determinato) e amministrata secondo un ricco e pomposo rituale religioso prestabilito.

 

4. Bibliografia 

§ Bayet, Histoire politique et psychologique de la religion romaine, Paris 1969; 

§ Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Bologna 1991; 

§ Calore, Guerra giusta tra presente e passato in Diritto e Storia n. 2 del marzo 2003; 

§ De Martino, Storia della Costituzione Romana, Napoli 1973; 

§ Martini, La guerra moderna e i diritti dell'uomo in La Repubblica del 13 luglio 2000; 

§ Sini, Guerra giusta e sistema giuridico religioso romano in Diritto e Storia n. 2 del marzo 2003.

 

 

 

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