L’ISTITUZIONE DEL SENATO NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO DELL’ANTICA ROMA
2. Il senato romano durante l’epoca monarchica della storia giuridica di Roma.
3. Il senato romano durante l’epoca repubblicana della storia giuridica di Roma.
4. Il senato romano durante l’epoca imperiale della storia giuridica di Roma.
5.
Bibliografia
1. Cenni preliminari
Il senato è l’assemblea popolare più risalente nell’ambito dell’ordinamento
giuridico di Roma antica.
Tale premessa mi consente di affermare in via preliminare come l’argomento preso
in esame si presti a una trattazione snodantesi attraverso tutte le epoche della
storia romana.
Peraltro l’istituzione senatoria si è mantenuta in vigore anche nell’ordinamento
giuridico italiano contemporaneo, in cui essa rappresenta la camera parlamentare
più alta e prestigiosa.
A dimostrazione della rilevanza del Senato della Repubblica Italiana militano le
disposizioni degli articoli 58, 59 e 86 della Carta Costituzionale.
A norma dell’articolo 58 del testo legislativo fondamentale dello Stato
Italiano, solo i cittadini che abbiano raggiunto una certa età godono di
elettorato attivo e passivo per il Senato: quanto al primo, essa è fissata in
venticinque anni; quanto al secondo, invece, si richiede quella di quaranta
anni.
A norma dell’articolo 59 della Costituzione della Repubblica Italiana, al Senato
possono sedere a vita i cittadini appositamente nominati dal Capo dello Stato in
virtù degli altissimi meriti conseguiti a illustrazione della Patria nel campo
sociale, scientifico, artistico, letterario (i cosiddetti “senatori a vita”).
Infine l’articolo 89 del supremo documento normativo del sistema giuridico
italiano esige che le funzioni del Presidente della Repubblica temporaneamente
impedito siano esercitate dal Presidente del Senato.
2.
Il senato romano durante l’epoca monarchica della storia giuridica di Roma
Come già accennato,
il senato romano nasce con la nascita dello stato di Roma e dunque esiste già in
epoca monarchica.
Si veda una testimonianza di Livio:
Liv. (1, 8, 7): Centum creat [scilicet Romulus] senatores, sive quia is numerus
satis erat, sive quia soli centum erant qui creari patres possunt
Liv. (1, 8, 7): Romolo designa cento senatori; tale numero è dovuto al fatto che
già esso appaia sufficiente nonchè all’impossibilità di reperire una maggiore
quantità di patres familias
Il passo liviano esaminato cela spunti di riflessione indefettibili per la
prosecuzione del nostro discorso.
A parte la fondazione del senato ad opera di Romolo, emerge anzitutto che la
condizione indispensabile e necessaria affinchè un soggetto acceda al senato è
quella del godimento (o, meglio, della titolarità) dello status di pater
familias.
Ben si sa che il pater familias è il soggetto decano di una famiglia e quindi
sui iuris, non sottoposto cioè all’autorità di alcuno.
Per traslato, però, in questo caso (come riportato da Dionigi di Alicarnasso o
dallo stesso Livio), l’appellativo di patres familias identifica i patres
gentium ossia i capi delle gentes dalla cui federazione si sia formata la
comunità unitaria.
Ne deriva allora che il capo di una gens è destinatario dell’automatica
attribuzione delle funzioni di senatore.
Ciò si accorderebbe perfettamente all’etimologia del termine senatus, derivante
dal sostantivo senex ovvero “anziano”.
In un contesto pari a quello delineato, la creatio (nomina) dei senatores da
parte del rex (si ricordi che Romolo è il primo dei sette re di Roma) è un atto
formale e vincolato cui costui non può per nessun motivo sottrarsi
arbitrariamente.
Relativamente poi al numero dei senatori, è da sottolineare come esso già nel
corso dell’età monarchica aumenti, portandosi - attraverso graduali incrementi -
da quello iniziale di cento a quello stabile di trecento.
Gli incrementi, motivati dalla crescita demografica di Roma e legati quindi alla
diffusione di nuove gentes, sono sostanzialmente due: il primo (di cinquanta
unità) si registra in costanza del regno di Numa Pompilio ed è fedelmente
documentato da Plutarco; il secondo, consistente nell’esatta duplicazione del
totale dei centocinquanta raggiunto, è opera del re Tarquinio Prisco ed è
puntualmente testimoniato da Cicerone.
Ma quali sono le competenze del senato romano in epoca monarchica?
Il senato romano monarchico (che si riunisce nel tempio della Curia Hostilia,
nel Foro) ha una funzione consultiva, una - la proditio interregis - che non
esiterei a definire di “supplenza amministrativa” e un’ultima (strettamente
legata alla precedente) di scelta dei reges.
La funzione consultiva si attua nella fornitura di pareri su determinate
decisioni da assumere (i cosiddetti senatusconsulta), molto probabilmente dotati
di una certa forza vincolante ancorchè non formalmente imposta.
La proditio interregis si realizza invece allorchè - deceduto un rex - il senato
proceda a designare tra i propri membri un soggetto che si incarichi di
adempiere alle regie incombenze finchè un nuovo rex non sia scelto.
E pure, invero, la scelta del rex spetta di fatto al senato e ora cercherò di
spiegarne i motivi.
Il rex è un sacerdote, il sommo sacerdote dell’antica Roma (tant’è vero che la
sua denominazione estesa è quella di rex sacrorum). Come tale, egli è declaratus
(cioè investito) da Giove per mezzo di precisi segni rivelatori della propria
volontà (i certa signa). Una volta declaratus, il rex è inauguratus, ossia
consacrato dagli augures (gli esperti deputati all’interpretazione dei certa
signa), e nominato ufficialmente dall’interrex in carica (ogni interrex può
durare in carica per un periodo massimo di cinque giorni, decorsi i quali deve
trasferire le proprie competenze a un altro interrex, personalmente designato
sempre tra i senatores).
Alla luce di quanto affermato, si comprende agevolmente come la nomina del rex
sia un atto totalmente controllato dal senato, dovendo esso essere compiuto da
un componente dello stesso; anche gli augures interpretano positivamente i certa
signa solo ed esclusivamente a vantaggio di un soggetto gradito all’istituzione
senatoria.
3. Il
senato romano durante l’epoca repubblicana della storia giuridica di Roma
In età repubblicana, il senato è l’organo titolare della fondamentale funzione
di approvazione delle deliberazioni dei comitia centuriata e dei concilia plebis
(in un primo momento) e della sottoposizione agli stessi organismi delle
proposte di deliberazione (in un secondo momento).
Si tratta della cosiddetta auctoritas patrum, la quale si carica di un
significativo valore di controllo e manovra dell’amministrazione politica
statale, di certo maggiormente accentuata quando intervenga quasi a titolo
ratificatorio sulla deliberazione già assunta piuttosto che sulla proposta di
deliberazione da presentare (per il semplice motivo che difficilmente il senato
può assumersi la responsabilità di “bocciare” un provvedimento senza aver prima
consultato il popolo).
E peraltro questo mutamento del momento di incidenza dell’intervento senatorio
dimostra come l’istituzione dei patres inizi, seppur lentamente, a declinare in
termini di importanza.
Qualche cenno ora ai comitia centuriata e ai concilia plebis.
I comitia centuriata sono assemblee aventi essenzialmente i compiti precipui di
eleggere i consoli, pretori e censori (magistrati maggiori, dotati cioè di
imperium ossia del comando militare, del potere giurisdizionale civile e
criminale e del diritto di proporre le leggi nonchè della facoltà di convocare i
comitia medesima), rogare (votare) le leggi, dichiarare lo stato di guerra e
giudicare nei processi di natura politica. Attorno al II secolo a.C. ai comitia
centuriata è demandata l’elezione di tutti i magistrati.
I concilia plebis sono invece le assemblee della plebe, convocate ai fini
dell’elezione delle magistrature plebee (i tribuni plebis e gli edili plebei) e
della rogazione di provvedimenti (i plebiscita) inizialmente prive di valore
vincolante per la collettività ma poi costituzionalmente parificati alle leges
per effetto della rogazione - ad opera dei comitia centuriata, su proposta del
dittatore Publilio - della lex Publilia Philonis de plebiscitis nel 339 a. C.
A parte l’auctoritas patrum, il senato repubblicano esercita anche altre
funzioni.
Sopravvive quella consultiva, affiancata da quelle di
· rappresentanza dello Stato nei rapporti diplomatici;
· disposizione della continuazione della permanenza in carica dei magistrati
oltre il periodo prestabilito;
· amministrazione delle province.
Quanto alla rappresentanza diplomatica dello Stato, è il senato a inviare e
ricevere ambascerie straniere nonchè a stipulare patti e trattati di vario
genere.
Quanto invece alla disposizione della continuazione della permanenza in carica
dei magistrati oltre il periodo prestabilito (prorogatio imperii), essa è
assunta dal senato qualora sia necessario consentire a un magistrato che abbia
intrapreso una certa opera (amministrativa o militare) di portare a termine la
stessa.
Quanto infine all’amministrazione delle province, essa è demandata al senato nel
senso che sono i senatori a nominare i governatori delle medesime (scegliendoli
in particolare fra soggetti che abbiano ricoperto nel quinquennio precedente il
consolato o la pretura), che rimangono in carica per un intero anno ma sono di
volta in volta riconfermabili.
Durante l’epoca repubblicana, i senatores sono scelti dai consoli fino al IV
secolo a.C. quindi dai censori (è da rilevare l’aumento sino a seicento unità,
deciso da Silla nel I secolo a.C.).
Il trasferimento della competenza della lectio senatorum dai consoli ai censori
è frutto del plebiscitum Ovinium (rogato tra il 318 e il 312 a.C su proposta del
tribuno della plebe Ovinio), che detta anche i criteri informatori di tale
attività.
In particolare, ai censori è imposto di far ricadere la propria scelta
sull’optimum di ogni ordine sociale. La pragmatica attuazione della regola
ovinia si concretizza nella selezione di soggetti già titolari di funzioni
magistratuali, sia patrizi sia plebei (il che sancisce - come giustamente
rilevato dal Nicosia - la trasformazione del senato da roccaforte dell’egemonia
patrizia a luogo di democratico incontro del popolo nel complesso delle sue
fasce sociali); ne deriva che sulla nomina censoria dei senatori influisca in
modo incisivo la scelta operata dal popolo con l’elezione dei magistrati.
Il senato romano repubblicano si riunisce tanto nella vecchia Curia Hostilia
quanto in altri luoghi (solitamente, templi consacrati); le sedute possono
essere pubbliche e segrete (ossia a porte chiuse).
La convocazione spetta fino al II secolo a.C. a un magistratus cum imperio
(quindi a un console, a un pretore, a un censore); in seguito essa è attribuita
in facoltà a tutti i magistrati.
Il magistrato convocante, cui spetta la presidenza della seduta e la conseguente
direzione di tutte le operazioni ad essa relative, ha una serie di facoltà
complementari quali quella di illustrazione dei propri orientamenti (sententiae
dictio) e l’altra di comunicare una problematica o una situazione in vista di
una deliberazione senatoria a riguardo (ius referendi).
Prima di ogni votazione finale (che avviene per discessionem ossia attraverso la
divisione dell’aula in due settori, occupato l’uno dai favorevoli e l’altro dai
contrari alla decisione richiesta), ciascun senatore può esporre il proprio
parere (sententia) in merito alla questione dibattuta senza limiti di tempo; è
tuttavia consuetudine - fedelmente riferita da Cicerone in molte opere - che i
senatori più autorevoli formulino una propria sententia cui gli altri si
limitino a manifestare il proprio accordo o disaccordo, a seconda dei casi.
4.
Il senato romano durante l’epoca imperiale della storia giuridica di Roma
L’epoca imperiale della storia di Roma si apre con l’avvento di Augusto, cui nel
23 a.C. (data che segna l’instaurazione della fase del Principato) vengono
conferiti a vita i poteri fondamentali di amministrazione dello Stato.
L’assetto politico-costituzionale romano si regge ora sulla figura del Princeps,
che ha di fatto esautorato delle loro funzioni gli organi magistratuali
repubblicani.
In simile contesto si assiste anche a un profondo mutamento del ruolo
dell’istituzione senatoria.
I patres - frattanto aumentati nel numero (dopo la restaurazione del
quantitativo di trecento ad opera di Cesare) - abbandonano definitivamente l’auctoritas
per conservare la titolarità delle funzioni di nomina dei governatori delle
province cosiddette “senatorie” (in contrapposizione a quelle “imperiali”,
amministrate direttamente dall’Imperatore: inizialmente sono quelle non ancora
del tutto pacificate; in un momento successivo, tutti i nuovi territori
periferici conquistati divengono province “imperiali”, cosicchè a fronte di
poche “senatorie” - come l’Africa proconsularis e la Sicilia - la maggior parte
delle province sono “imperiali”) e, seppur per brevissimo tempo (addirittura
solo fino alla salita di Claudio al soglio imperiale, nel corso del I secolo d.C.),
la funzione consultiva; la quale ultima, pervero, si attua non più nella
fornitura di pareri su questioni di una certa importanza ma nell’emanazione di
deliberazioni dirimenti insorte controversie tra privati e aventi dunque
sostanziale contenuto normativo (e scompare quando appunto i vari Principes - a
partire da Claudio - iniziano a praticare l’uso di comunicare orationes
contenenti provvedimenti normativi al senato, che si limita a ratificarli -
peraltro neppure ricorrendo allo strumento del consultum - senza apportare
emendamenti di sorta al fine di non contraddire la volontà dell’Imperatore).
Nel periodo in esame, ai senatori sono altresì demandate funzioni, meramente
formali,
· giurisdizionali in materia di crimini contro lo Stato e la pubblica
amministrazione (appare infatti plausibile che l’esercizio di tale funzione sia
notevolmente condizionata dal Princeps);
· di investitura dei Principes (che si avvicendano in via di successione
dinastica);
· di decretare (sempre su pressione di un Princeps) l’apoteosi - ossia la
divinizzazione - (con la conseguente introduzione del culto) oppure la damnatio
memoriae - ossia la cancellazione da tutti i documenti ufficiali del nome,
l’abbattimento delle statue erette in onore e l’annullamento dei provvedimenti -
di un Imperatore deceduto.
Nella fase imperiale del Dominato (che inizia nel 285 d.C. con l’avvento di
Diocleziano ed è così definita perchè l’Imperatore ha potestà illimitata erga
homines atque res trovantisi entro i confini del territorio statale), il senato
ha pressochè uguali funzioni rispetto a quelle esercitate nel Principato.
La situazione cambia quando, nel 395 d.C. con la morte di Onorio, l’Impero si
divide nella parte occidentale (con capitale Roma) e in quella orientale (con
capitale Costantinopoli): lo Stato romano è diviso e si avvia a disgregazione
anche la sua civiltà.
A due Stati, quindi, corrispondono due senati (in tutto perfettamente analoghi e
speculari ed è per questo motivo che d’ora innanzi mi riferirò al singolare al
senato, intendendo il discorso valido per ambo le assemblee in considerazione).
Il senato diviene un’istituzione elitaria, cui possono accedere soltanto i
membri delle famiglie aristocratiche più blasonate (i cosiddetti clarissimi).
La maggior parte degli studiosi sostiene come il senato della tardissima epoca
imperiale romana, composti ora da uomini ricchi ed illustri, covino i germi
della definitiva scomparsa della civiltà romana e del regime feudale prossimo a
svilupparsi nel primo Medioevo: come infatti è nella natura di ogni classe
aristocratica, anche quella in esame aspira ad un certo grado di indipendenza
del potere centrale.
I clarissimi, comunque, non entrano a far parte dell’istituzione senatoria solo
in virtù di tale proprio status: è infatti richiesto un atto di nomina
dell’Imperatore (il codicillum clarissimati, sovente - ma non necessariamente -
indirizzantesi verso soggetti già titolari di funzioni pubbliche), sottoposto
alla ratifica dell’assise, innanzi a cui appositi iuratores giurano
sull’esistenza in capo all’aspirante dei requisiti necessari per il
conseguimento dello status di senatore ed appositi laudatores parlano in suo
favore; ciònonostante, la ratifica medesima può essere negata se la professione
dell’aspirante appaia troppo umile o i suoi vizi siano tali da sconsigliarne
opportunamente l’accettazione, la cooptazione.
L’espressione frequentemente rinvenuta nelle costituzioni imperiali di senator
vel solus clarissimus fa plausibilmente ritenere l’esistenza di senatori
onorari, ossia insigniti quasi a titolo laudativo della qualifica senatoria
senza però possibilità di partecipazione alle sedute assembleari.
Il numero dei senatori è vertiginosamente cresciuto (nel senato di
Costantinopoli sembra se ne possano contare addirittura duemila).
Quanto alle funzioni, il senato ne esercita di natura tributaria, legislativa e
giurisdizionale.
Esso infatti stabilisce le imposte che i censori dovranno poi indire, approva in
seconda delibazione le leggi già appovate dai proceres palatii e le acclama
formalmente (assolvendo alla competenza della loro pubblicazione), giudica sui
reati di tradimento e cospirazione contro lo Stato (purchè i relativi processi
siano devoluti dall’Imperatore) e proclama i soggetti riconosciuti rei come
nemici pubblici.
In alcune ipotesi, poi, il senato può essere invitato a prender parte a
trattative diplomatiche.
Ma qual è adesso l’influenza politica del senato? Non certo quella propria delle
epoche monarchica e repubblicana; tanto più che i senatori - contrariamente al
passato - sono liberi di vivere lontani dalla capitale (sede appunto
dell’istituzione) e pochi (forse una cinquantina) sono i presenti richiesti ai
fini della validità delle deliberazioni.
5. Bibliografia
- Nicosia, Lineamenti di storia della costituzione e del diritto di Roma,
Catania, 1971
- De Martino, Storia della costituzione romana, Napoli, 1971
- Del Giudice, Dizionario Giuridico Romano, Napoli, 2000