L’istituto del condono nell’esperienza giuridica italiana contemporanea e in quella romana antica

1. Introduzione.
2. L’istituto del condono nell’esperienza giuridica italiana contemporanea
3. L’istituto del condono nell’esperienza giuridica romana antica
4. Bibliografia




Introduzione

L’esperienza giuridica romana antica conosce e contempla l’istituto del condono fiscale.

Occorre però, al fine di non condurre un ragionamento mistificante, individuare le differenze – invero profonde, in relazione a natura e funzione – tra il condono previsto dall’ordinamento italiano contemporaneo e quello proprio del diritto della Roma di un tempo.

Proverò allora a delineare il ruolo dell’istituto in questione nelle due realtà sopra menzionate, prestando particolare attenzione al fatto che esso muta in conseguenza della sussistenza di diversi principi regolatori del sistema finanziario.


L’istituto del condono nell’esperienza giuridica italiana contemporanea

Il sistema finanziario attualmente vigente in Italia è caratterizzato – come ha opportunamente messo in rilievo il Cerami in un recente studio sull’argomento – “dalla quasi totale derivazione dell’entrata pubblica dalla manovra tributaria e dalla correlativa rilevanza costituzionale del dovere (sancito appunto dall’articolo 53 del testo normativo fondamentale della Repubblica Italiana) di tutti i cittadini di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

Alla luce di quanto affermato, allora, è facile comprendere come nella legislazione italiana attuale il condono altro non sia che uno strumento di politica tributaria consistente nell’abbuono di una vasta gamma di sanzioni, traente fondamento da un impulso di clemenza dei governanti ma al contempo finalizzato alla percezione di tributi altrimenti difficili da essere recuperati con grave nocumento per lo Stato.

Cercherò di argomentare la mia precedente esposizione attraverso l’analisi – seppure per sommi capi – dell’ultimo, in ordine rigorosamente cronologico, condono (cosiddetto “tombale”, perché relativo a tutte le imposte evase) ispirato dal Ministro dell’Economia, On. Prof. Giulio Tremonti, e introdotto dall’articolo 9 della legge finanziaria per l’anno 2003 già approvata dal Parlamento.

Tale condono “tombale” – come già accennato – interessa (o, meglio, ha interessato poiché ormai non è più attivabile, essendo spirato il dies ad quem del 16 marzo ultimo scorso) tutte le imposte concernenti tutti i periodi di imposta per i quali i termini per la presentazione delle relative dichiarazioni siano scaduti al 31 ottobre 2002.

Esso fa sorgere – a carico del soggetto che decida di avvalersene – l’onere (onere, per il semplice motivo che il ricorso al condono è liberamente disponibile da parte di coloro i quali abbiano pendenze col fisco) di versare il venti per cento dell’importo lordo dell’imposta dovuta, quale risultante dalla dichiarazione reddituale, fino all’ammontare di diecimila Euro e il sedici e il tredici per cento dello stesso importo, rispettivamente per le eccedenze rispetto ai diecimila Euro fino a ed oltre i ventimila Euro.

Il discorso cambia per
· l’imposta sul valore aggiunto (I.V.A.): le aliquote da corrispondere a titolo condonativo – forfaittariamente predeterminate – ammontano a cinquecento Euro (qualora il volume di affari imponibile non sia superiore ai diecimila Euro) oppure a mille Euro (qualora il volume di affari imponibile sia superiore ai diecimila Euro ma inferiore ai ventimila Euro) oppure a duemila Euro (qualora il volume di affari imponibile sia superiore ai ventimila Euro);

· i tributi locali, l’ammontare delle cui aliquote da versare a titolo condonativo è stabilito dagli enti creditori:

· le rate annuali del canone di abbonamento alla RAI Radiotelevisione Italiana, per il cui condono bisogna pagare il dieci per cento di ciascuna annualità non saldata.

La premialità del condono “tombale” si concretizza
· nella preclusione dagli accertamenti tributari riferiti alle imposte condonate;
· nell’esclusione dalla punibilità per i reati tributari di dichiarazione fraudolenta, infedele, omessa e occultamento/distruzione di documenti contabili nonché per quelli comuni connessi strumentalmente e riferiti alla medesima situazione tributaria.


L’istituto del condono nell’esperienza giuridica romana antica

L'istituto del condono nell'esperienza giuridica romana antica si sostanzia in una rinuncia alla pretesa tributaria dello Stato, motivata da ragioni tecnico-contabili in una fase storica più risalente (età repubblicana e del Principato) e da fattori politico-sociali in un periodo più recente (età del Dominato).

In età repubblicana, non esiste un’imposizione tributaria usuale e cadenzata come avviene oggi negli ordinamenti giuridici contemporanei di quasi tutti gli Stati del mondo.

I cittadini sono gravati dell'obbligazione tributaria solo quando e laddove intendano svolgere una certa attività in suolo pubblico.

Le imposte previste si dividono in vectigalia (in senso ampio) e tributa.
I vectigalia (in senso ampio) comprendono
· i vectigalia (in senso stretto), ossia gli importi che i conduttori di carri devono versare in natura – cioè in quantitativi, non è dato conoscere se astrattamente predeterminati o meno – di beni trasportati – per il passaggio attraverso le pubbliche strade;
· i portoria, ossia i dazi di entrata e di transito imposti alle merci destinate ai mercati di Roma o, pur con mete diverse, attraversanti il suo territorio (a differenza dei vectigalia in senso stretto, tali imposte colpiscono i beni anziché le persone fisiche);
· le scripturae, ossia le tasse gravanti sui pastori che intendano far pascolare le proprie greggi nei pubblici pascoli, i quali infatti costituiscono l’ager scriptuarius.

I tributa sono invece le contribuzioni pretese e richieste in vista e allo scopo di finanziamento della realizzazione di opere pubbliche.

Se dunque - in un certo momento storico - lo Stato impone ai cittadini il dovere di versare le imposte corrispettive dello svolgimento di attività in suolo pubblico e poi si verifica un fatto nuovo idoneo a garantire altri introiti, medesime imposte vengono condonate (ecco le ragioni tecnico-contabili giustificatrici dell'attivazione dell'istituto).

Riporterò all'uopo l'episodio citato dallo storico Livio e temporalmente collocato al 187 a.C., quando si registra il vittorioso e molto ben materialmente accompagnato ritorno di Manlio Vulsone dall'Asia Minore (dove costui ha vinto la guerra contro la popolazione dei Galati); cosicché il Senato delibera di rinunciare alle imposte vigenti, il cui previsto gettito potrà ora essere assicurato dall'acquisizione delle prede belliche portate dallo stesso Manlio Valsone.

In tarda età imperiale, lo Stato romano (o, meglio, l'Imperatore, che con esso si identifica) si spoglia gradualmente dei propri beni immobili sicché inizia ad alienare man mano tutti gli agri publici.
Ne consegue che l'entrata fiscale normale deve diventare ora l'imposta – usuale e cadenzata – sui soggetti dell'ordinamento giuridico.

Ad essa si affiancano imposte occasionali, quali
· la vicesima libertatis o manumissionum, l’imposta dovuta da qualsiasi schiavo manomesso;
· la vicesima hereditatum, l’imposta di successione
· la quinta et vicesima venalium mancipiorum, l’imposta di possesso degli schiavi.

Inizialmente, gravati dall'obbligazione tributaria pubblica sono solo i soggetti residenti nelle Province, cui si impone di corrispondere un'imposta personale (tributum capitis) e una reale o fondiaria (tributum soli).

Menzionate imposte sono indette da un provvedimento pubblico (che è generalmente la lex provinciae) e quantificate nell'ammontare da un provvedimento amministrativo dell'autorità locale, che stabilisce anche le modalità di corresponsione.

Più in là nel tempo, a seguito del celeberrimo Editto emanato dall'Imperatore Caracalla nel 212 d.C., si perviene ad una completa equiparazione tra soggetti residenti in suolo italico e soggetti residenti in territorio provinciale.

Imposte personali e fondiarie gravano ora su tutti coloro i quali abitino entro i confini dell'Impero Romano.

In un simile contesto, il condono - ove concesso - ha funzione politico-sociale: serve cioè all'Imperatore a ingraziarsi i propri sudditi e ad attirarne le simpatie nei propri confronti, è un atto di clementia imperialis.

Anche in questo caso, però, esso integra una rinuncia dello Stato alla propria pretesa tributaria nei confronti dei cittadini, non previdente o finalizzato all'abbuono di sanzioni/recupero di parte degli importi dovuti altrimenti irrimediabilmente persi.

Tra i condoni che le fonti documentano citerò quello concesso nel 118 d.C. dall'Imperatore Adriano e – da Graziano in poi – un po' da tutti i Principes (molto spesso in occasione di invasioni belliche, calamità naturali, pestilenze e crisi economiche).


Bibliografia

Cerami, Il rapporto giuridico d'imposta nell'esperienza tributaria romana: obbligazione e condono, in "Studi in onore di Cesare Sanfilippo"; 1990

Preziosi, Il condono fiscale: natura giuridica, funzione, effetti; 1987

Luzzatto, La riscossione tributaria in Roma; 1948

Cimma, Ricerche sulle società dei pubblicani; 1981

Milazzo, Munera e ultro tributa; 1993
 

 

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