Il rapporto di lavoro subordinato nell’ordinamento giuridico italiano contemporaneo, in raffronto con quello analogo degli antichi ordinamenti giuridici romano e attico
 
In questo articolo, l’autore traccia un breve excursus sul concetto di subordinazione lavorativa e quindi sull’essenza del contenuto del rapporto di lavoro subordinato nell’ordinamento giuridico italiano e - in raffronto – in quello romano e attico.
  
Il rapporto di lavoro subordinato nell’ordinamento giuridico italiano contemporaneo
Il concetto di subordinazione lavorativa contemplato dall’ordinamento giuridico italiano contemporaneo presenta profonde differenze rispetto a quello analogo dell’antico diritto romano.
 
L’articolo 2086 del Codice Civile attualmente vigente nella Repubblica Italiana fa riferi-mento alla subordinazione come la sottoposizione dei prestatori di lavoro alle direttive del datore di lavoro o in sua vece degli altri prestatori gerarchicamente sovraordinati nell’orga-nizzazione dell’azienda.
 
Il datore di lavoro può quindi determinare discrezionalmente le modalità di esplicazione dell’attività del proprio dipendente ma è altresì tenuto a rispettare le disposizioni legislative e contrattuali: ciò perché egli non ha un potere di natura personale, al contrario è legato al dipendente da un vincolo squisitamente patrimoniale i cui limiti sono ben tracciati dai contenuti delle prestazioni dovute ex contractu nel rispetto delle prescrizioni normative.
 
In buona sostanza, un imprenditore non ha alcun titolo per richiedere al telefonista della propria azienda di assistere ad una precisa rappresentazione teatrale piuttosto che ad un’altra oppure di acquistare il caffè di una certa marca anziché di un’altra.
 
Anche la Suprema Corte di Cassazione della Repubblica Italiana è intervenuta a ribadire la tesi appena esposta: gioverà ricordare le sentenze
· numero 3386 del 22 novembre 1971 (in cui è stato stabilito che l’organizzazione tecnica e disciplinare del lavoro aziendale da parte dell’imprenditore deve essere sempre e comunque conforme alla legge);
· numero 7381 del 14 dicembre 1983 (in cui è stato sancito che nessuna facoltà di sindacato riguardo all’organizzazione tecnica e disciplinare del lavoro aziendale è concessa al prestatore di lavoro nei confronti dell’imprenditore che si sia attenuto nella sua configurazione alle prestazioni normative):
· numero 5643 dell’8 giugno 1999 (in cui è stato affermato che ciascuna parte del rapporto di lavoro può pretendere e deve fornire solo le prestazioni ad oggetto del contratto fonte del rapporto medesimo, sicché non integra ipotesi di inadempimento il comportamento del prestatore che rifiuti di eseguire un ordine del datore di lavoro non in linea con le disposizioni contrattuali).
  
Il rapporto di lavoro subordinato nell’antico ordinamento giuridico romano
A Roma antica, invece (almeno fino ad epoca giustinianea), il rapporto di lavoro – nascente dal contratto di locatio operarum – implica un vero e proprio stato di assoggettamento personale del prestatore, confinante quasi con il servaggio: molte fonti definiscono il lavora-tore come perpetuus mercenarius e, del resto, l’ammissibilità della sua condizione a quella dello schiavo è dimostrata quasi inoppugnabilmente dal fatto che per il suo illecito diviene, a seguito della nascita del rapporto, responsabile il datore di lavoro.
 
Con il contratto di locatio operarum, in pratica, il prestatore di lavoro si impegna a mettere a disposizione del datore di lavoro verso corrispettivo (la merces, consistente in denaro ma anche – anzi frequentemente – in beni materiali, specialmente di vestiario) tutte le proprie energie per un dato arco temporale in modo incondizionato: cosicché, se c’è necessità ma anche ad libitum, il datore di lavoro può pretendere dal proprio dipendente prestazioni al-quanto faticose o in orari disagevoli.
 
Tutto ciò ha comunque una giustificazione, fornita di un accettabile livello di logicità ancorché sia o meno condivisibile, di natura sociologica: nella società civile della Roma di un tempo, infatti, il lavoro non è un diritto fondamentale della persona, è piuttosto uno strumento (che l’ordinamento giuridico ritiene di non dover apprestare necessariamente ai propri membri) di acquisizione dei mezzi di sostentamento ; ne consegue che colui il quale intenda lavorare, non godendo di garanzie sul piano normativo, è costretto – a meno di vagare quotidianamente alla ricerca di cibo – ad accettare tout court ogni determinazione del soggetto che gli fornisca la possibilità di guadagnare e quindi di sopravvivere dignitosamen-te.
 
Alla luce di quanto affermato, la subordinazione lavorativa contemplata dall’ordinamento giuridico dell’antica Roma altro non è – per dirla con Scognamiglio – che “una situazione di soggezione economica e sociale di persone prive di mezzi economici a favore di altre aventi abbondante disponibilità di fattori di produzione.
 
 
Il rapporto di lavoro subordinato nell’antico ordinamento giuridico attico
Nell’antico ordinamento giuridico attico, il lavoro subordinato inizia ad essere contemplato solo in un’epoca abbastanza tarda, ossia con l’avvento di Pericle (467 a.C.), allorché – venuta a costituirsi una società multietnica e per questo corposa – il sistema economico si trova arricchito di molte vere e proprie imprese di produzione di beni e servizi, al cui buon funzionamento è necessario un notevole apporto di manodopera stabile ovvero retribuita, dunque di persone che accettino di mettersi alle altrui disposizioni verso corrispettivo.
 
In ogni caso, i Greci dell’Attica (ma in genere tutti gli abitanti dell’area ellenistica) non vedono di buon occhio il lavoro salariato.
 
Aristotele – esprimendo peraltro il pensiero di molti Ateniesi – ritiene infatti che l’opera prestata alle altrui dipendenze venga svolta senza alcuna compenetrazione emotiva e quindi impedisca la crescita e lo sviluppo dello spirito.
 
Le ragioni dell’economia, tuttavia, in Atene come in altre pòleis greche, fortunatamente prevalgono sicché il legislatore non solo non vieta ai prestatori di lavoro subordinato la partecipazione alle sedute degli organismi pubblici ma in alcuni casi prevede addirittura la comminazione di sanzioni a carico di quanti decidano di vivere in completo ozio.
 
Riguardo al corrispettivo, inizialmente esso consiste in beni anziché in valuta: frequentassi-me sono, ad esempio, le testimonianze di acquisto di materie prime a fronte di capi di bestiame.
 
A seguito della fine delle guerre persiane (448 a.C.), si intensifica lo sfruttamento delle miniere d’oro della costa tracia e delle isole di Taso e Sifnos nonché dei giacimenti di piombo argentifero del Laurio (nell’Attica meridionale) e di Maronea; così, parte l’attività di conio delle monete in ciascuna città (ad ogni pòlis viene infatti riconosciuto il diritto di adottare una divisa propria) e ad Atene comincia ad essere battuta la dracma (disponibile in vari ta-gli, tutti recanti incise su una faccia la testa della dea Atena con l’elmo e la corona di foglie d’olivo e sull’altra la civetta – uccello della stessa dea – con la falce di luna e un ramoscello d’ulivo).
 
La pluralità – e la diversità di valore intrinseco ancorché non nominale – delle monete circolanti crea però uno scomodo inconveniente nel mercato globale perché facilita le frodi.
Per mettere fine a queste difficoltà, conclusasi la Guerra del Peloponneso (404 a.C.), Atene impone a tutte le città della Confederazione Delio-Attica istituita nel 477 a.C. il proprio si-stema monetario.
 
La diffusione del lavoro subordinato consente lo sviluppo di un sistema economico tale da richiedere capitali di ammontare sempre crescente: nasce così la pratica del prestito ad inte-resse, riscuotibile a scadenze molto ravvicinate, usata soprattutto da operatori economici che intendano raddoppiare o addirittura triplicare in pochissimo tempo i propri capitali.
 
Al di là di queste osservazioni di carattere storico, è da osservare che in Grecia come a Roma il potere del datore di lavoro nei confronti del proprio dipendente non è soggetto a rego-lamentazioni di sorta.
 
Basti pensare alle numerose testimonianze che riferiscono dei turni di lavoro della durata di dodici ore o più cui sono costretti i minatori e delle precarie condizioni igieniche dell’am-biente in cui debbano prestare la propria opera i vasai e i tintori.
 
Conclusioni
In virtù di quanto finora si è detto, è possibile affermare senza tema di smentite che tutta la disciplina giuslavoristica, contrariamente a qualsiasi altro settore del diritto, è stata costruita in modo completamente autonomo e senza alcuna derivazione solo in epoca relativamente recente.
 

Bibliografia

Flacelière, La vie quotidienne en Grece au siecle de Pericles (nella traduzione italiana di Maria Grazia Meriggi), Milano, 1998
Martini, Lezioni di diritto attico, Siena, 1996
Sanfilippo, Istituzioni di diritto romano, Soveria Mannelli (Cz), 1996
Tocci, Il diritto obbligatorio nell’antica Roma, Civitavecchia (Roma), 2001
 

 

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